SAN MICHELE ARCANGELO, RITI E MISTERI IN ABRUZZO
Il culto di San Michele Arcangelo in Abruzzo ha due date principali legate alla transumanza, il 29 settembre e l’8 maggio. Riti e misteri di un culto ancestrale che viene da lontano.
Angeli e arcangeli: per qualcuno residuo di un’arcaica visione cosmologica e materia fantastica per opere visionarie, riti e misteri ancestrali; per altri ministri di Dio e potenti intercessori tra la sfera umana e quella divina. Da sempre, prima nel mondo ebraico e poi nel culto cristiano, gli uomini hanno fatto ricorso all’intercessione degli angeli. Nella visione biblica sono esseri spirituali che costituiscono la corte celeste di Dio e, verso il mondo, sono gli esecutori della sua volontà. Il mondo degli angeli è una realtà fin troppo vicina: intermediari nell’aiuto che Dio manda agli uomini, intercessori e protettori di singoli individui, guardiani specialmente in diverse circostanze della vita, esseri preposti al governo degli elementi naturali, come stelle, venti e piogge. Satana, poi, non è altro che un angelo decaduto, che viene infilzato dalla spada o dalla lancia fiammeggiante di San Michele, in una delle più note iconografie cristiane tratte dall’Apocalisse. E i demòni, che insidiano la vita del cristiano, non sono altro che angeli trascinati nella decadenza dal Serpente antico. Oggi San Michele è più noto per essere, da oltre 70 anni, il protettore della Polizia di Stato, a partire bolla del 1949 di papa Pio XII. La recita della preghiera del poliziotto a San Michele conclude ancora oggi le cerimonie di giuramento degli allievi e alcune commemorazioni:
“San Michele Arcangelo, nostro celeste Patrono, che hai vinto gli spiriti ribelli – nemici della Verità e della Giustizia – rendi forti e generosi, nella reverenza e nell’adesione alla Legge del Signore, quanti la Patria ha chiamato ad assicurare tra i suoi cittadini concordia, onestà e pace affinché – nel rispetto di ogni legge – sia alimentato lo spirito di umana fraternità . Per questo, imploriamo dal tuo Patrocinio rettitudine alle nostre menti, vigore ai nostri voleri, onestà agli affetti nostri, per la serenità delle nostre case, per la dignità della nostra terra”.
Saranno anche esseri eterni, ma il culto degli angeli ha la sua storia. In Italia il centro di irradiazione del culto angelico fu il santuario della grotta di Monte Sant’Angelo nel Gargano dove, secondo la leggenda, alla fine del V secolo vi apparve l’angelo. La data del 29 settembre è dunque il giorno della dedicazione della celeste grotta garganica. Grazie alla transumanza, che connetteva le montagne abruzzesi con le pianure pugliesi, la devozione micaelica si è fortemente radicata in Abruzzo, dove è riuscita a unire in un perfetto intreccio la primigenia religiosità italica, l’incastellamento longobardo, la preghiera dei monaci e la cultura pastorale. Le due date che commemorano San Michele, quella dell’8 maggio e del 29 settembre, segnavano le date d’ingresso e d’uscita degli animali dai pascoli. A maggio, l’inizio della stagione calda, le greggi transitavano dalla pianura o dalla costa alle zone più fresche di montagna; a settembre, all’inizio della stagione fredda, si verificava il movimento inverso, il passaggio dalle zone di montagna a quelle pianeggianti e più calde. Oggi, nella nostra società postmoderna, questi ritmi naturali e ancestrali si sono purtroppo perduti. Così, lungo i sentieri percorsi da greggi e pastori, cominciarono a innalzarsi luoghi di culto dedicati a San Michele, presso torrenti e grotte naturali, insomma, presso luoghi con caratteristiche simili a quelle del Gargano. A San Michele Arcangelo si riferiscono culti rupestri basati sull’acqua e sulla roccia: è nel ventre delle grotte che l’uomo entrava in contatto con l’energia primordiale e rigenerativa della Terra.
Nell’aquilano ricordiamo Roccacasale, arroccato sulle pendici di Monte della Rocca – lo sperone ovest del Monte Morone – dove San Michele Arcangelo si festeggia l’8 maggio. Villa Sant’Angelo, un piccolo paese dell’alta Valle dell’Aterno in provincia dell’Aquila, trova nella propria chiesa parrocchiale e nel culto a San Michele il punto aggregante della sparuta comunità rimasta. A poca distanza da Pescocostanzo si trova la chiesa rupestre di San Michele, eremo molto antico che già figurava dopo l’anno Mille come possedimento dei monaci cassinesi. Il complesso si erge tra verdi pascoli, ai piedi di una rupe isolata nel paesaggio uniforme degli altopiani. L’interno è completamente pavimentato con larghe lastre di pietra, che creano un certo contrasto con la volta rocciosa naturale; la balaustra è scavata finemente a intarsi con la bianca pietra della Maiella. L’eremo si trovava sulle antiche vie della transumanza ed infatti era tradizionale tenere una fiera di bestiame l’8 maggio, dopo la chiusura invernale.
Nell’aquilano il culto micaelico più noto è quello del Santuario di Sant’Angelo a Balsorano, nella Valle Roveto. Antichissimo, la prima menzione ufficiale è però data dalla bolla di papa Bonifacio VIII del 1296, che invitava il vescovo di Sora a recuperare i beni del soppresso monastero benedettino di San Michele. Il luogo è incantevole: in perfetta armonia con la natura, dove le acque di vari fiumi esprimono la loro forza vitale, sullo sfondo dei maestosi baluardi delle catene montuose. La prima tappa del percorso è detta “del Crocifisso” per un’immagine di Cristo, raffigurata su una croce in ferro collocata sulla roccia. In questo punto la Madonna avrebbe messo in fuga il diavolo che le era apparso e per tradizione i pellegrini lanciano un sasso mentre passano, col proposito di scaricare così i propri peccati ed entrare purificati al santuario. L’ingresso alla grotta, protetto da una cancellata in ferro, si apre su una parete di roccia incombente. Sul piazzale c’è il cosiddetto ospizio, destinato all’accoglienza delle confraternite e dei pellegrini. Oggi è un semplice dormire nel santuario, ma quest’uso ricorda da lontano il rito pagano dell’incubazione, che consisteva nel passare la notte all’interno di un santuario o per ottenere una guarigione miracolosa o per suscitare un sogno che contenesse rivelazioni. Questo rito era praticato soprattutto nei luoghi dedicati a Mercurio o ad Asclepio, per poi passare a San Michele. Una volta entrati nella grotta, sulla destra, si trova la cappella dedicata alla Madonna Addolorata; tra le due scale in pietra che portano al piano alto c’è una cappella con le icone di Sant’Antonio da Padova e di San Giuseppe. La scala di destra sale poi alla cappella di San Michele Arcangelo, dove si trova un’immagine del santo realizzata a fine ‘800. L’altra scala, chiamata Scala Santa, porta alla cappella della Madonna dello Spirito Santo. Sulla sinistra della grotta si apre un cunicolo, chiuso per motivi di sicurezza che, secondo la tradizione popolare, porterebbe fino al santuario del Gargano.
Sulle pendici della Maiella orientale sorgono diversi borghi antichi, e tra questi troviamo uno dei più caratteristici eremi rupestri: Grotta Sant’Angelo a Palombaro (CH). Non lontano da Fara San Martino, è un luogo adatto perché vi nascesse il culto micaelico: abbiamo la grotta, l’acqua – si riconoscono ancora delle vasche – e la presenza pastorale. Il sito è riconoscibile dalla piccola ed elegante abside con la sua coronatura ad archetti pensili, il resto più evidente della chiesetta medievale, incastonata come un gioiello nella roccia. Sono i resti di una chiesa benedettina risalente probabilmente all’XI secolo, che nel XIII divenne possedimento del monastero di San Martino in Valle – la Petra abruzzese – tramite una bolla di Onorio III. Gli anziani di Palombaro ricordano come fino agli anni Trenta vi fossero ancora un altare e due statue di santi. Secondo la tradizione, il luogo era dedicato alla dea Bona, dea della fertilità: qui le donne venivano a immergere le mammelle alla fonte che scaturiva dalla roccia per favorire la produzione di latte. Successivamente in epoca cristiana l’eremo venne dedicato a San Michele Arcangelo, angelo che presiede all’elemento dell’acqua. In realtà e forse non a torto, qualche studioso ha ipotizzato che qui venisse venerata piuttosto Sant’Agata, nota per il martirio delle mammelle, cristianizzazione della dea Bona. Nel piazzale davanti all’eremo riparato da una tettoia naturale di roccia, si notano appunto le vasche scavate nella pietra. E con un po’ di fortuna si vedranno anche dei camosci.
Una Grotta Sant’Angelo si trova anche a Lama dei Peligni (CH), su un remoto crepaccio roccioso della Maiella orientale a quota 1260 m. Anche qui siamo nel terreno dei camosci. Della chiesa rupestre della Grotta rimangono poche mura diroccate. L’interno della grotta è singolarmente costituito da un grande spazio di circa 20 m, che doveva ospitare un ricovero di monaci penitenti; nei resti della zona cultuale troviamo una piccola edicola in legno, dove si trovava la statua dell’angelo. Gli affreschi con Sant’Angelo, San Benedetto e Pietro da Morrone sono spariti quasi del tutto. Nella parte alta della grotta, una piccola polla d’acqua spunta tra il muschio. In questo eremo abitò il discepolo prediletto di Celestino V, il beato Roberto da Salle, prima di fondare, nel 1327, il sottostante monastero di Santa Maria della Misericordia a Lama.
Tra miti e riti, culti accettati e fantasie popolari, la devozione all’arcangelo Michele è diffusa in molte altre località abruzzesi, unite dal desiderio di potersi riparare all’ombra delle sue ampie ali.