DÀ DA MANGIARE AGLI ORFANI DELL’ORSA AMARENA, IL PARCO NAZIONALE: “AZIONI SCONSIDERATE E CLANDESTINE”
Uno degli ultimi avvistamenti dei cuccioli di orso
«Nei giorni scorsi si sono rincorsi su alcuni account social i video di come i giovani orsi, figli di Amarena avrebbero superato l’inverno. La notizia curiosa, a correlazione dei video, che lascia aperte infinite domande, è quella che un privato cittadino, ha fornito cibo, “naturale” a suo dire, durante il mese di dicembre 2023 agli orsi orfani, ovviamente avendo deciso in totale autonomia che ciò fosse necessario. Naturalmente la notizia ha destato non poche perplessità, normative, procedurali e di opportunità».
A scriverlo, in un post, è il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Dall’ente pubblico aggiungono: «Non sappiamo molto della storia antica dell’orso, ma sappiamo che ci sono ancora cose da scoprire sulla sua storia recente. Di sicuro le ricerche sulla genomica ci hanno aiutato a conoscerlo meglio, gli studi in atto ci stanno aiutando ad avere nuovi dati ecologici ed etologici e il prossimo anno, con la stima su base genetica, avremo certamente informazioni più accurate sulla consistenza numerica su tutto l’areale appenninico, dato fino a ora ignoto».
Il post del Parco Nazionale prosegue così: «Nonostante tutto ad attirare l’attenzione di alcuni però è la mancanza di risorse alimentari per la popolazione di orso marsicano, a loro dire, motivo per il quale sarebbe necessario procedere con alimentazione di supporto (supplemental feeding). Negli ultimi 7 anni il tema è stato approfondito e molto abbiamo scritto su questo particolare argomento che appassiona diversi amanti degli orsi, proprio perché, molto spesso, fortemente divisivo. Proprio per questo abbiamo sempre tenuto un approccio scientifico, rigoroso e prudenziale rispetto agli effetti negativi che questa pratica potrebbe produrre.
Se il Parco ha deciso di non procedere con il supplemental feeding lo ha fatto sulla base di confronti e ricerche scientifiche, in ambito internazionale, dove a fronte di alcuni studi che ne elogiano i risultati, in alcune precise aree, molti altri, invece, mettono in guardia sugli effetti negativi di questa pratica, che di fatto annullano tutto il resto. In passato, come abbiamo scritto, più volte il Parco ha adottato questa pratica con le migliori intenzioni, ma è stata proprio l’esperienza, i risultati e le ricerche scientifiche in divenire, su questo tema, che ci hanno fatto desistere perché inutile, anzi in alcuni casi dannosa. Un anno e mezzo di attività (1985-86), soprattutto nei periodi di iperfagia, è servito a dimostrare che i punti di alimentazione supplementare sono stati frequentati soprattutto da cervi, cinghiali e volpi, dove c’era la frutta, e soprattutto dai lupi, ma anche dai cinghiali, dove c’era la carne.
Gli orsi hanno usufruito di questo cibo aggiuntivo poche volte e in modo sporadico (vedasi foto di alcune relazioni dei Guardiaparco). E tutti gli elementi, oggettivi, raccolti anche da ricercatori terzi rispetto al Parco, non possono essere confutati dalle opinioni di chi basandosi su osservazioni empiriche e senza una base scientifica afferma il contrario. Inoltre, come si può parlare di carenze alimentari se tra tutti gli orsi che monitoriamo o che abbiamo catturato, nonché tutti quelli oggetto di foto o video che riempiono i social, non ce n’è uno denutrito? Le carenze alimentari, ormai insinuate nella mente di chi teme per il destino dell’orso marsicano al momento non esistono, e sono ben altri i problemi per questa meravigliosa popolazione. Ma come spesso accade, quelli più macroscopici e anche più complicati da risolvere vengono ignorati.
Il Parco ha sempre sostenuto che in caso di nuove evidenze scientifiche, utili a confutare la non opportunità del supplemental feeding, rivedrà alcune posizioni, attuando altre strategie. Le linee guida dell’Uicn per la riduzione dei conflitti con la fauna (Iucn Ssc guideline on human-wildlife conflict on 2023), nello scegliere una misura gestionale, suggeriscono che è fondamentale evitare o minimizzare qualsiasi effetto collaterale negativo. Il somministrare cibo alla fauna non è menzionato tra le azioni suggerite, proprio perché la maggior parte degli studi definisce che i rischi di abituazione al cibo e all’uomo, nonché la perdita di diffidenza e la possibilità di veicolare malattie, visto che dove si mette il cibo non ci andrebbero solo gli orsi, aumenta di fatto i conflitti».
Gli orsi confidenti
«La questione degli orsi confidenti», evidenziano dal Parco Nazionale, «che invece incontriamo nei paesi, e che quindi ha contribuito a creare l’idea della mancanza di cibo in natura, è un fenomeno che riguarda tutte le popolazioni di orso in giro per il mondo. Associare il fenomeno degli orsi confidenti alla carenza di cibo non ha nessuna base scientifica certa, anche perché non si capisce di cosa vivrebbero tutti gli altri in giro per l’Appennino centrale. Non è la fame a spingere qualche orso a scendere periodicamente in aree antropizzate, altrimenti nei paesi avremmo decine e decine di orsi. E questo non è mai accaduto. Affermare che gli “orsi scendono in paese perché hanno fame” è una risposta troppo semplicistica, che non tiene conto di quanto in Natura tutto sia più complesso di quello che sembra. Da questo punto di vista noi uomini dovremmo operare una riflessione più attenta e razionale perché spesso è proprio il nostro approccio semplicistico a farci operare scelte sbagliate rispetto all’ambiente, con risvolti che neanche immaginiamo. E troppo spesso ignoriamo la relazione “causa ed effetto”, perché il lasso di tempo che passa, per percepire le conseguenze delle nostre azioni, è molto lungo. Il Parco opera in modo chiaro, com’è giusto che sia per una Pubblica Amministrazione, e il supplemental feeding non viene fatto perché non è necessario, e anzi come già detto, spesso dannoso. Lavoriamo ogni giorno per una Natura sana e soprattutto che non ha bisogno della mano dell’uomo, non certo per una natura addomesticata. Le azioni sconsiderate messe in campo da chi ha deciso di alimentare artificialmente i due orsi figli di Amarena sono di una gravità estrema. Si tratta di azioni clandestine che poco hanno a che fare con il rispetto della legge, perché l’orso marsicano è una specie particolarmente protetta, e nel cui merito abbiamo chiesto alle autorità competenti di fare chiarezza e di cui daremo conto non appena avremo notizie certe. Ci sarebbe inoltre anche una questione etica, oltre che scientifica e normativa che è bene ricordare: l’effetto emulazione che altri potrebbero adottare nel silenzio e nell’ombra. Leggere che si sarebbe trattato di un “atto di disobbedienza civile”, è molto triste e ha poco a che vedere con una società avanzata che ha nella Costituzione il rispetto per l’Ambiente, dove rispetto è esattamente il contrario di anarchia.
Siamo sicuri che gli orsi avrebbero superato i mesi invernali anche senza cibo supplementare, anche perché non è dato ancora sapere le quantità di questo cibo utilizzato, né quanto in realtà gli orsi abbiamo usato queste e altre risorse. A meno che gli orsi non siano stati “pedinati”, andando ben oltre il semplice gesto dimostrativo e contribuendo in modo significativo alla fase di abituazione all’uomo, con tutte le conseguenze che questo comporterà. E qui si apre un altro scenario, se possibile ancora più inquietante del precedente. Come Ente pubblico siamo tenuti a operare in modo trasparente e rendere conto ai cittadini di tutto ciò che facciamo, a maggior ragione quando si opera su una specie come l’orso marsicano di interesse mondiale perché minacciata di estinzione.
Proprio per questo, chiunque altro, privato cittadino o associazione, decida di intervenire sulla medesima specie, deve comportarsi allo stesso modo: rendendo pubblico, non ciò che ha fatto ma ciò che vuole fare. Si è tenuti a comunicare in modo chiaro come si ha intenzione di procedere, quali alimenti si utilizzeranno, in quali località, quali contesti, se e quali altri animali potrebbero frequentato gli stessi siti, come si opererà di conseguenza, e ogni altro elemento utile a rendere conto alla collettività degli interventi a carico di una specie particolarmente protetta.
In tal senso, almeno il raccordo con le Autorità competenti, Regione Abruzzo, Ministero e Ispra, fuori dal Parco, è indispensabile e legalmente necessario, non facoltativo. Così non è stato. Un altro elemento preoccupante in questa storia è la tempistica. Si alimentano artificialmente due orsi a dicembre 2023, ma si racconta il tutto solo alcuni mesi dopo, il tempo necessario per verificare che i due orsi stavano bene. Il dubbio che di questa storia non si sarebbe saputo nulla se ai due giovani orsi fosse successo qualcosa è più che lecito, perché una operazione corretta avrebbe dovuto avere una comunicazione preventiva.
Ovvio pensare che nel caso di eventuali problemi agli orsi ci sarebbe sempre stato il Parco su cui scaricare ogni e qualunque responsabilità. E questo riporta all’etica ed alla responsabilità di come si approccia al proprio lavoro e al proprio ruolo. Il Parco lo fa in modo trasparente e sentendo il peso di scelte difficili e spesso impopolari, come non procedere col supplemental feeding, ma avendo ben chiaro l’interesse primario del nostro mandato: la tutela e la conservazione di un ambiente unico e di specie minacciate, rispondendone direttamente.
Tutti coloro, privati o associazioni, che vogliono condividere la mission della conservazione sono i ben venuti, ma le regole del gioco devono essere le stesse perché solo così ci sarà sempre la garanzia della tutela del bene comune. In questa triste storia, tutta ancora da chiarire, ha perso la razionalità, la scienza e gli orsi vittime, ancora una volta, di azioni umane sconsiderate, anche se apparentemente fatte per il loro bene».