ABRUZZO, CERVELLI IN FUGA: «QUI NON ABBIAMO FUTURO»
«Ho iniziato con una laurea in biotecnologia all’università di Teramo e da lì ho continuato altrove, prima a Roma, poi nel New Jersy e ora a Miami: suggerisco ai ragazzi abruzzesi di lasciare casa alle proprie spalle».
Luca Tottone ora è un prestigioso ricercatore, premiato più volte, che sbriga il suo lavoro al Sylvester Comprehensive Cancer Center dell’Università di Miami, studiando le trasformazioni delle cellule nel sangue: un emblema di quella fuga dei cervelli che attanaglia la nostra regione. E aggiunge: «Per chi volesse andare via può contattarmi sui social per avere consigli utili di come si fa». C’è anche Stefania Tarquini, figlia dell’ex primario al Mazzini di Teramo Pierluigi, che all’estero “lancia” i satelliti per Eumetsat, in buona sostanza dirige una struttura che si occupa di immetterli in orbita per la rilevazione della Co2 antropica: «Durante la trasmissione Kilimangiaro – è il suo commento – spiegherò brevemente come organizzazioni europee e come l’agenzia contribuiscano al monitoraggio di cambiamenti climatici attraverso l’uso di satelliti». Anche se la nostalgia è grande: «Come fare senza l’Abruzzo – si chiede – monti, mare, pesce e arrosticini».
Malgrado tutto non mancano gli esempi di ritorno dei cervelli. Vincenzo Di Nicola, infatti, dopo esser stato co-fondatore di GoPago, una startup di pagamenti mobili a San Francisco, ora ha deciso di tornare in veste di responsabile per l’innovazione tecnologica e la trasformazione digitale presso l’Inps. È in Abruzzo con un mantra nel cuore: «Per spronare alle materie scientifiche gli studenti abruzzesi di scuola superiore e, nel mio piccolo, di contribuire alla formazione di basi solide per il futuro del Paese». Un altro cervello di ritorno è senza dubbio Alessandro Pajeskwi, a casa da 4 anni dopo 20 di Usa: ora dirige la Gran Sasso Science Institute (Gssi), una scuola superiore universitaria (è una fondazione) con sede all’Aquila che funge da istituto di ricerca e di alta formazione dottorale anche in chiave industriale. Degli States rimpiange «la facilità con cui ci si può interfacciare con la Pa, con il regime fiscale e coi finanziamenti cui attingere»: «Ero andato a studiare biologia, poi sono diventato consulente per la Boston Consulting Group (una società top mondiale di consulenza strategica con 90 uffici in 50 paesi, ndr)». Ma tornando in patria pare non abbia fatto un affare dal punto di vista economico: «Lì guadagnavo 5 volte di più». «Ora però rappresento un’area di tecnologia che ha fame di talenti, ne abbiamo bisogno, anche per le industrie, perché le università, sebbene di alta qualità, non formano alcune figure: le prospettive qui non sono paragonabili a quelle che un giovane può trovare all’estero, sia per opportunità che per remunerazioni».
Pajeskwi porta l’esempio di un chirurgo specializzato in robotica che qui rimaneva precario mentre negli Usa si è visto riconoscere le competenze a livello economico «che nemmeno si sognava».
Ora all’Aquila il suo compito è anche quello di riprendersi gioielli e cervelli locali in un “ambito premiante”: «Oltre a cercare di mantenere qui i nostri giovani più promettenti, stiamo operando per far tornare da noi due ricercatori, uno che lavora in Germania, l’altro in Svizzera, che si occupano di software ed elettronica».Il
ll fenomeno della meglio gioventù abruzzese che lascia la regione per avere opportunità di lavoro che qui non avrebbero mai è in costante aumento: a detta della Cgia di Mestre, ben 1.439 persone in Abruzzo (dati 2024 su 2022) sono andate a fare fortuna altrove (55 mila in tutto lo stivale). Gli sforzi da parte dei genitori per dare una chance migliore ai propri giovani costa fatica. Ne sa qualcosa Lidia, un ex dipendente Asl ora in pensione: «Mi sono dovuta vendere una casa ma ne è valsa la pena perché poi mia figlia Gisella ha lavorato presso la Banca mondiale e Oxford Analytica, ora vive in un Cotswolds, tra Londra ed Oxford e ha 4 figli con tanto di ius soli». Per alcuni più che una fuga è piuttosto un fenomeno figlio dei tempi. «Un recente studio di Linkedin – osserva Stefano Cianciotta, Ad di Fira – ha dimostrato che il processo di migrazione dei cervelli si è invertito perché sempre di più i professionisti e gli studenti dai continenti tradizionalmente ricchi (Europa e Stati Uniti) si muovono verso i nuovi paesi ricchi, come Emirati, Arabia Saudita e India, ma anche verso paesi economicamente attrattivi anche che se politicamente complessi, come la Nigeria o il Sud Africa. I talenti non sono in fuga ma in movimento».
Fonte: Il Messaggero.