IL NUOVO FILM CON ALBANESE E RAFFAELE PARLA DI ABRUZZO E DI MONTAGNA
Quello della comunità, impegnata nella difesa del bene collettivo e di valori condivisi, è un tema chiave nel cinema di Riccardo Milani. E sempre più presente. Nel suo nuovo film, Un mondo a parte, nelle sale il prossimo 28 marzo con Medusa in oltre 500 copie, ne rappresenta il cuore pulsante. Interpretato da Antonio Albanese (al suo quinto film con il regista di Come un gatto in tangenziale), da Virginia Raffaele e da attori non professionisti, compreso un pugno di bambini scatenati, il film è ambientato in Abruzzo, tra Pescasseroli e Opi (che nella finzione diventa il borgo di Rupe), e racconta la vita quotidiana della Marsica attraverso la storia di un maestro elementare, Michele Cortese, che dopo 40 anni di insegnamento e umiliazioni nella giungla romana (dove un alunno minaccia di farlo picchiare dal padre) decide di cambiare vista e si fa assegnare all’Istituto Cesidio Gentile detto Junico, una scuola composta da un’unica pluriclasse, con bambini dai 7 ai 10 anni, nel cuore del Parco Nazionale. Con l’aiuto della vicepreside Agnese e degli scolari, Michele diventa uno di loro, pronto a combattere, ai limiti della legalità, affinché la scuola, povera di iscrizioni, non chiuda. Così Michele e Agnese si ritrovano a fare i conti con il passato ribaltando il proprio punto di vista sul futuro. «La montagna lo fa», diventa allora il tormentone che sintetizza l’accadere dell’inaspettato. E proprio al cinema Ettore Scola di Pescasseroli, che Milani ha contribuito a far rinascere, sono tornati il regista, il cast, lo sceneggiatore Michele Astori (che ha scritto con Milani), i produttori Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa, e Giampaolo Letta, vicepresidente e AD Medusa, per festeggiare l’uscita del film insieme a quella comunità che li ha accolti e ispirati, rifocillati, amati, accompagnati in un prezioso lavoro di scoperta di un territorio bello e aspro, generoso e prepotente.
L’ intero paese si è ritrovato infatti su un “green carpet” costellato di impronte d’orso, mentre la banda ha salutato l’arrivo di Albanese e Raffaele, ormai cittadini adottivi del comune abruzzese che li ha ospitato per quasi due mesi. «Ho maturato questo film in decenni passati nei piccoli centro montani d’Abruzzo, dopo aver visto queste comunità svuotarsi e le loro scuole chiudere. Un giorno d’inverno di due anni fa sono entrato in una scuola chiusa da tempo e nelle persone che mi guidavano in giro la totale e serena rassegnazione a un destino inevitabile. Conosco bene quella rassegnazione e come sia sempre stato complicato qui togliersela di dosso per provare a essere protagonisti del proprio destino. È stato in quel momento che è cominciato Un mondo a parte». Una rassegnazione, come si dice nel film, che si mangia a morsi come la scamorza, e che secondo il regista, è la cosa peggiore che un uomo possa accettare. «Mi piace raccontare ogni aspetto delle realtà al centro dei miei film, anche i peggiori. Ma la comunità di Un mondo a parte è soprattutto un modello di concretezza e semplicità oltre ogni ideologia, il segnale di una possibile integrazione. In Italia esistono emergenze vere che riguardano scuola, sanità, cultura, ci siamo abituati a perdere il nostro Paese un pezzo alla volta, abituandoci al peggio, invece è necessario alzare la testa e rivendicare i nostri diritti. Qui i cittadini lottano contro queste falle e io volevo accendere un riflettore sulla loro battaglia». La Raffaele invece, nonostante sfoggi un perfetto accento abruzzese, ammette di non essere mai stata in questa regione. E in montagna in generale. «Milani mi ha scelta dopo aver visto uno spettacolo a teatro in cui parlo di un luogo che non c’è più, il luna park dell’Eur, dove sono cresciuta con la mia famiglia di giostrai. Nel mio personaggio ho trovato una corrispondenza forte con la mia esperienza personale. Maneggio più frequentemente ironia e commedia, e di Agnese mi ha colpito la parte malinconica. Il film è stata un’esperienza artistica e umana unica. Il cinema lo fa».
Albanese, che definisce il dialetto marsicano un misto di tailandese e valdostano, aggiunge: «Sono al mio quinto film di Milani e se sono ancora qui è perché ne condivido idee e intenzioni, il desiderio di affrontare argomenti necessari con garbo e nobile leggerezza. Lavorare con i bambini poi è stato un gran bell’esercizio, così come con gli attori non professionisti e i loro tempi poetici». A proposito della difesa dell’identità, di cui si parla nel film, il regista commenta: «L’omologazione è un tema drammatico e per identità si intendono diverse cose, tra cui la capacità di partecipare alla vita attiva di una società, il recupero dell’essenziale, il superamento delle divisioni, l’abbattimento dei muri tra le persone, il rispetto dell’altro». Durante le numerose anteprime nelle scuole organizzate poi da Alice nella Città molte delle domande dei più piccoli riguardavano il gesto disperato di una ragazza che si butta nel fiume. «Una scena frutto di quello che ho visto e ascoltato negli anni. Un tema difficile da affrontare, ma necessario per restituire la complessità della realtà». Letta infine sottolinea l’importanza di una promozione territoriale “porta a porta” del film per contribuire all’educazione all’immagine nelle scuole e al riavvicinamento del pubblico alla sala.
Fonte: Avvenire